Feroza è il termine con cui in persiano si chiama la pietra turchese, ma anche la forza. Quella che ha avuto Aluk Amiri a lasciare nel 2006 l’Afghanistan e soprattutto l’agosto scorso, con la salita al potere dei talebani, a far fuggire dal paese la sorella, ostetrica, e il fratello, ancora studente.
Il fratello e la sorella hanno imparato in fretta a cucinare e da qualche settimana a San Salvario é possibile assaggiare i piatti più tipici della cucina afghana, legata indubbiamente a quella dei paesi con cui confina: Iran, Turkmenistan e Uzbekistan, ma anche Pakistan, come mostra l’uso delle spezie tipiche del Subcontinente Indiano, della menta, dello yogurt e del tipico pane Naan.
Il pasto si consuma solitamente a casa (gli afghani raramente mangiano fuori casa) ed è composto da tre pietanze: carne – soprattutto manzo in forma di kebab o polpette, pollo o agnelli stufati con verdure e spezie -, riso e verdure.
E io, da Feroza, ho mangiato le Kofta (10€) di manzo stufate con prugne, patate e noci accompagnate dal riso Palaw (7€), con lenticchie, menta e cipolle caramellate (c’è anche solo bianco con zafferano) e Bademjan (7€), ovvero melanzane fritte con salsa di pomodoro e yogurt.
Tutto buono, genuino, delicato.
Io ho mangiato ammirando le fotografie sulle pareti che raccontano di un paese bellissimo. Aluk le ha stampate da foto che alcuni suoi amici sono riusciti a salvare dagli hard disk, anche loro prima di fuggire.
Voglio tornarci per assaggiare uno dei loro piatti tipici, il KABULI PALAW, riso con agnello, carote, mandorle e uvetta, l’altro giorno non disponibile. Voglio tornarci per farmi raccontare qualche altra tradizione, anche gastronomica, di cui un paese di cui conosciamo purtroppo poco.
FEROZA
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